GiovanniPascoli nasce a S. Mauro di Romagna nel 1855. All'età di dodici anni perde il
padre, ucciso da una fucilata sparata da ignoti; la famiglia è così costretta a
lasciare la tenuta che il padre amministrava e perde la tranquillità economica
di cui godeva. Nei successivi sette anni Pascoli perde la madre, una sorella e
due fratelli; prosegue gli studi a Firenze e poi a Bologna. Qui aderisce alle
idee socialiste, fa propaganda e viene arrestato. Il
carcere fu comunque un'esperienza che lo segnò, interiormente, in maniera
decisiva, decise di abbandonare l'attività politica e dopo il rilascio si laurea in lettere. Insegna greco e latino a tre
diverse università, cercando di riunire attorno a sé i resti della famiglia.
Nel 1891 pubblica il suo primo volumetto di poesie, Myricae, che resta
la sua opera più famosa. In Italia, tra la fine
dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, la crisi di valori che è all’origine
della letteratura decadente trova eco nelle opere di molti scrittori, tra cui
anche Giovanni Pascoli. Con
la sua poesia fatta di sentimenti, stati d’animo, piccole cose, cerca di
penetrare il mistero dell’esistenza, il senso profondo della vita. Il suo
linguaggio, simbolico, teso a suscitare suggestioni e intuizioni, fondato su
accostamenti inusuali, è fortemente innovativo nel panorama della letteratura
italiana. Pascoli eredita chiaramente la fine delle illusioni del secondo
Ottocento nelle capacità della scienza – tecnica - industrializzazione di
superare il dolore, la sofferenza, le contraddizioni degli uomini. Tutte queste
cose non hanno tolto ma hanno anche creato nuovi dolori. La scienza, per
Pascoli è solo servita a togliere le
illusioni della religione. Il male, per lui, non è generato dalla natura, che anzi
è "madre dolcissima" ma dall'uomo sociale, ritenuto assai diverso
dall'uomo primitivo che è "buono per natura".
Il 6 aprile 1912,
già malato, causa dell'abuso di alcool, muore di un cancro al fegato a Bologna,
all'età di cinquantasei anni. Viene sepolto nella cappella annessa alla sua
dimora di Castelvecchio di Barga,
dove sarà tumulata anche l'amata sorella Maria.
Giovanni Pascoli, nonostante la sua
incarcerazione non fu un ribelle, anzi,
alla maniera decadente si chiuse nel suo dolore, si isolò in se stesso, solo
con le sue memorie e con i suoi morti. La sua ribellione fu un senso di ripulsa
e di avversione per una società in cui era possibile uccidere impunemente e
nella quale si permetteva che una famiglia di ragazzi vivesse nella sofferenza
e nella miseria. Ne anche nella sua
poesia non c’è ribellione, ma rassegnazione al male, una certa passività di
fronte ad esso: vi domina una malinconia diffusa nella quale il poeta immerge
tutto: uomini e cose. Egli accetta la realtà triste com’è, e si sottomette al
mistero che non riesce a spiegare. La sua poesia non ha una trama narrativa e
non è neppure descrittiva: esprime soltanto degli stati d’animo, delle
meditazioni. E' l’ascolto della sua anima e delle voci misteriose che gli
giungono da lontano: dalla natura o daimorti.
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