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Il doppio volto dell’età giolittiana > tema


              Tra fine Ottocento e inizio Novecento una parte della borghesia italiana era disponibile al dialogo con il movimento operaio, perché nel Partito socialista prevalevano i riformisti, guidati da Filippo Turati. Nel 1901 si formò un governo che ebbe per la prima volta l'appoggio in parlamento dell'estrema Sinistra. Era presieduto dal liberal-democratico Giuseppe Zanardelli e aveva Giovanni Giolitti come ministro degli Interni. Nella tutela dell'ordine pubblico, il nuovo ministro degli Interni applicò la regola che lo stato doveva restare neutrale nei conflitti tra lavoratori e imprenditori. Perciò, in occasione di scioperi o manifestazioni, egli per lo più evitò di far intervenire l'esercito o la polizia per disperdere i manifestanti.

‘’In caso di sciopero il governo ha il dovere di interveni­re in un solo caso: quando venisse turbata la libertà del lavoro, quando gli scioperanti vo­lessero impedire ad altri operai di lavorare; perché la libertà del lavoro non può essere meno sacra della libertà dello sciopero.‘’

L’atteggiamen­to di Giovan­ni Giolitti nei confronti degli scioperi
e delle manifestazioni operaie.
(da Discorsi parlamentari)


Nel 1903 Giolitti divenne Presidente del consiglio e offrì a Turati di entrare nel governo. Pensava, infatti, che, con la presenza di propri rappresentanti nel governo, il movimento operaio avrebbe rinunciato alla via rivoluzionaria e avrebbe condotto le proprie battaglie all'interno dello stato, nel rispetto delle sue leggi. Turati rifiutò, perché nel Partito socialista erano tornati a prevalere gli esponenti contrari a ogni accordo con i governi borghesi.


                Giolitti fu primo ministro quasi ininterrottamente dal 1903 all'inizio del 1914. In questi dieci anni cercò di allargare la base dello stato liberal-borghese, cioè di ampliare il numero dei cittadini che si sentissero parte di questo stato e rappresentati da esso. Pertanto, oltre ad avviare il dialogo con i socialisti riformisti, cercò anche la collaborazione dei cattolici, che, fino allora erano rimasti ostili allo stato italiano.
                        

         Giolitti portò alle estreme conseguenze il trasformismo. Faceva e disfaceva maggioranze parlamentari basandosi su accordi se­greti, favori e amicizie personali, se non addirittura ricorrendo al ricatto e alla corruzione. Questi due ultimi strumenti furono sicuramente usati da Giolitti nella lotta elettorale, specie nel Sud, per ottenere l'elezione di deputati a lui fe­deli. La conseguenza fu l’aggravarsi della decadenza del parlamento, al punto che molti italiani persero ogni fiducia in esso e fecero scelte politiche antiparlamentari e antidemocratiche.
         Tutto ciò avrebbe contribuito a spianare la strada della dittatura fascista.

Lo storico e uomo politico Gaetano Salvemini
definì Giolitti: ‘’il ministro del malavita‘’.

Il suo interesse per i braccianti e i contadini del Sud fu assai minore. Verso il Meridione egli si limitò ad alcuni interventi, che offrissero possibilità di lavoro e frenassero cosi il malcontento sociale.




‘’Purtroppo persiste ancora nel governo, e in molti dei suoi rappresentanti, la tendenza a considerare come pericolose tutte le Asso­ciazioni dei lavoratori. Questa tendenza pro­duce il deplorevole effetto di rendere nemi-che dello stato le classi lavoratrici, le quali si vedono guardate costantemente con occhio diffidente anziché con occhio benevolo dal governo, il quale pure dovrebbe essere il difensore imparziale di tutte le classi di cittadini.
La ragione principale per cui si combattono le camere del lavoro è questa: che l'opera loro tende a far crescere i salari. Il tenere i salari bassi comprendo che sia un interesse degli industriali, ma che interesse ha lo stato di fare che il salario del lavorato­re sia tanto basso? E un errore, un vero pre­giudizio credere che il basso salario giovi al progresso dell'industria; l'operaio mal nutri­to è sempre più debole fisicamente e intel­lettualmente; e i paesi di alti salari sono alla testa del progresso industriale.‘’
(da Discorsi parlamentari)

Il doppio volto della politica giolittiana emerse anche nel 1912, quando fu introdotto il suffragio universale maschile. Era una riforma importantissima, ma fu accompagnata da un accordo con i cattolici, secondo il quale questi ultimi avrebbero votato per i candidati liberali che si impegnavano a sostenere le scuole gestite da ordini religiosi e contrastare un'eventuale legge sul divorzio. L'alleanza si proponeva di frenare l'avanzata dei socialisti, che avrebbero potuto trarre vantaggio dal suffragio universale. Adesso potevano votare anche i lavoratori salariati, che prima erano esclusi perché avevano un reddito troppo basso.
Nel 1914 Giolitti diede le dimissioni e fu sostituito dal liberal-conservatore Antonio Salandra.

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