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Gabriele D'Annunzio

                Gabriele D'Annunzio nasce a Pescara il 12 marzo 1863 da famiglia borghese, che vive grazie alla ricca eredità dello zio. Compie gli studi liceali nel collegio Cicognini di Prato, distinguendosi sia per la sua condotta indisciplinata che per il suo accanimento nello studio unito a una forte smania di primeggiare. Durante gli anni liceali riesce a pubblicare, a spese del padre la sua prima raccolta di poesie con quale ottiene un precoce successo e ulteriormente inizia a collaborare con alcuni giornali letterari dell'epoca. Nel 1881, iscrittosi alla facoltà di Lettere, si trasferisce a Roma, dove, senza portare a termine gli studi universitari, conduce una vita sontuosa, ricca di amori e avventure. In breve tempo, collaborando a diversi periodici, sfrutta il mercato librario e giornalistico e orchestrando intorno alle sue opere spettacolari iniziative pubblicitarie, il giovane D'Annunzio diviene figura di primo piano della vita culturale e mondana romana. Il suo primo romanzo Il piacere (1889), si colloca al vertice di questa mondana ed estetizzante giovinezza romana. Nel 1891 assediato dai creditori si allontana da Roma e si trasferisce insieme all'amico pittore a Napoli, dove, collaborando ai giornali locali trascorre due anni in precarietà. La principessa Maria Gravina Cruyllas abbandona il marito e va a vivere con il poeta, dal quale ha una figlia. Alla fine del 1893 D'Annunzio è costretto a lasciare, a causa delle difficoltà economiche, anche Napoli. Ritorna, con la Gravina e la figlia, in Abruzzo, e nel 1894 pubblica alcune altre raccolte poetiche tra cui Le elegie romane. I suoi testi inoltre cominciano a circolare anche fuori dall'Italia.Nel 1895 esce La vergine delle rocce, il romanzo in cui si affaccia la teoria del superuomo e che dominerà tutta la sua produzione successiva. Alla fine degli anni ‘90 viene eletto deputato, ma nel 1900, opponendosi alle pratiche dei suoi colleghi politici abbandona la destra e si unisce all'estrema sinistra. Nel 1910 pubblica il romanzo Forse che sì, forse che no, e per sfuggire ai creditori, convinto dalla nuova amante Nathalie de Goloubeff, si rifugia in Francia.Vive allora a Parigi partecipando alla vita mondana della belle époque internazionale, e compone opere in francese. Nel 1915, nell'imminenza dello scoppio della prima guerra mondiale, torna in Italia, dove incita il popolo alla guerra con “le radiose giornate di maggio”. Riacquista un ruolo di primo piano, tenendo accesi discorsi interventistici e, traducendo nella realtà il mito letterario di una vita inimitabile, partecipa a varie e ardite imprese belliche, ampiamente autocelebrate. Durante un incidente aereo rimane ferito ad un occhio. A Venezia, costretto a una lunga convalescenza, scrive il Notturno, edito nel 1921. Nonostante la perdita dell'occhio destro, diviene eroe nazionale partecipando a celebri imprese, quali la beffa di Buccari e il volo nel cielo di Vienna. Alla fine della guerra, conducendo una violenta battaglia per l'annessione all'Italia dell'Istria e della Dalmazia, alla testa di un gruppo di legionari nel 1919 marcia su Fiume e occupa la città, instaurandovi una singolare repubblica, la Reggenza italiana del Carnaro, che il governo Giolitti farà cadere nel 1920. Negli anni dell'avvento del Fascismo, nutrendo una certa diffidenza verso Mussolini e il suo partito, si ritira, celebrato come eroe nazionale, presso Gardone, sul lago di Garda, nella villa di Cargnacco, trasformato poi nel museo-mausoleo del Vittoriale degli Italiani. Qui, pressoché in solitudine, nonostante gli onori tributatigli dal regime, raccogliendo le reliquie della sua gloriosa vita, trascorre una malinconica vecchiaia sino alla morte avvenuta il primo marzo 1938.

La poetica dannunziana è l’espressione più appariscente del Decadentismo italiano. Dei poeti «decadenti» europei D’Annunzio accoglie modi, forme, immagini, con una capacità assimilatrice notevolissima; quasi sempre, però, senza approfondirli, ma usandoli come elementi della sua arte fastosa e portata a un’ampia gamma di sperimentazioni. Per quest’ultimo aspetto lo si può avvicinare al Pascoli, anch’egli impegnato in una ricerca di nuove tematiche linguistiche. Anche per D’Annunzio fu importante l’incontro col Simbolismo europeo, soprattutto francese, dove s’avverte la ricerca della parola suggestiva, dell’analogia simbolistica, l’ansia d’una poesia che evochi li mistero, attraverso raffinate atmosfere sentimentali e di sensibilità e oggetti ridotti a emblemi d’una realtà più profonda. Nella vita pratica il D’Annunzio suscitò interesse e curiosità in certa aristocrazia e borghesia parassitaria e sfaccendata, e ne influenzò il costume con i suoi atteggiamenti estetizzanti, narcisistici, immorali e superomistici. Nella vita letteraria con i suoi virtuosismi lessicali e stilistici diventò il modello di tanti poeti del suo tempo.
Nella vita politica dapprima con la sua eloquenza fastosa di interventista e con le imprese eroiche e leggendarie di combattente, galvanizzò, entro certi limiti l’Italia in guerra; poi con il gusto estetizzante dell’avventura e della ribellione all’autorità costituita influenzò il Fascismo, al quale il dannunzianesimo fornì gli schemi delle celebrazioni esteriori, dei discorsi reboanti e vuoti, dei messaggi e dei motti e la teatralità dei gesti.
Data la sua abilità di adattarsi in varie e assai diverse posture, D’Annunzio, il poeta soldato, rimane un simbolo del patriottismo, e ancor oggi un modello non solo per gli italiani ma per qualsiasi persona che viene a conoscenza delle sue grandiose imprese di vita quotidiana, militare e artistica.

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